Nel 2022, 175 Paesi si sono riuniti a Nairobi, in Kenya, con la promessa di adottare un accordo che avesse come obiettivo quello di ridurre l’utilizzo della plastica. A distanza di due anni, l’impegno preso non si è concretizzato. Infatti, nell’ultima sessione delle trattative svoltesi a Busan, in Corea del Sud tra il 24 novembre e il 1 dicembre, è emerso quanto ancora sia difficile far valere l’urgenza ambientale sui diffusi interessi economici, sollevando preoccupazioni tra scienziati, ambientalisti e cittadini.
Negli ultimi decenni la produzione e il consumo di oggetti in plastica ha visto una crescita esponenziale e ha prodotto fenomeni di inquinamento sulla terraferma e in mare. I territori maggiormente toccati da questi fenomeni si trovano principalmente in Asia e Africa, dove la mancanza di consapevolezza e di educazione sul tema, insieme all’inefficienza, o addirittura l’inesistenza, di sistemi di raccolta contribuiscono a generare una situazione di crisi. Si stima, infatti, che ogni anno più di 8 mln di tonnellate di rifiuti di plastica finiscano negli oceani, costituendo una minaccia per gli ecosistemi marini, mentre molti altri si accumulano in discariche inquinando il suolo e le falde acquifere. (Fonte: WWF)
Nonostante l’urgenza, la versatilità e il basso costo di questo materiale fanno sì che rimanga tra i più utilizzati del mondo rendendo quanto mai complessa l’attuazione di strategie per la sua riduzione. I Paesi che più hanno osteggiato la conclusione di un accordo corrispondono ai maggiori produttori di petrolio, come Arabia Saudita, Iran, Russia e Cina, in quanto primariamente interessati a preservare il loro sviluppo economico. Anche lo scenario politico che si sta delineando in USA dopo le ultime elezioni non sembra far ben sperare, considerando il disinteresse oggettivo di Trump verso tematiche ambientali e di salvaguardia del pianeta. (Leggi anche: IL POST). Un altro aspetto che grava su quelle che sono le posizioni della comunità internazionale è la mancanza di tecnologie sostenibili. Sebbene esistano materiali alternativi, molti di essi non sono ancora prodotti su larga scala o risultano troppo costosi per essere adottati globalmente.
Le conseguenze del mancato raggiungimento di un accordo compromettono la realizzazione degli obiettivi climatici previsti dall’Accordo di Parigi del 2015, come la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, legata all’uso di combustibili fossili per la produzione della plastica, e la conservazione delle risorse naturali. Inoltre, l’assenza di una visione unitaria e condivisa comporta una frammentazione delle azioni da parte dei soggetti internazionali coinvolti, che sebbene risultino dei modelli positivi da replicare, rimangono insufficienti nel dare una risposta concreta all’emergenza.
Tuttavia, l’esito che giunge dal quinto incontro del Comitato Negoziale Intergovernativo (INC-5) svoltosi a Busan, non può e non deve rappresentare una giustificazione per i governi a restare fermi e sentirsi dispensati dalla responsabilità di trovare una soluzione. Al contrario, può rappresentare un’opportunità per accelerare il cambiamento a tutti i livelli, dalle scelte quotidiane ai grandi investimenti industriali. Perché il tempo per agire non è infinito, e il futuro del nostro pianeta dipende dalle decisioni che prendiamo oggi.
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