Bioplastiche: definizione e sostenibilità

L’alternativa “green” alle plastiche tradizionali fa parte di un mondo complesso che presenta ancora una serie di criticità.

 

La definizione

Con bioplastiche si intendono materiali con proprietà simili alle plastiche “tradizionali” ma differenti per: derivazione da materie prime rinnovabili; biodegradabilità; compostabilità. La definizione non comporta necessariamente che queste tre caratteristiche siano sempre presenti e garantite contemporaneamente, ma è sufficiente che almeno una di queste condizioni sia rispettata.

Ciò comporta l’esistenza di bioplastiche che derivano da fonti fossili (totalmente o parzialmente) e sono biodegradabili, o che derivano da fonti rinnovabili ma non sono biodegradabili (come il bio-PET). Inoltre, alcune bioplastiche biodegradabili possono essere compostabili, ma solo se possiedono caratteristiche specifiche. Per essere compostabili, tali materiali devono superare il test di biodegradabilità (degradarsi almeno del 90% in 6 mesi in ambiente ricco di anidride carbonica) e il test di disintegrazione (dopo 12 settimane a contatto con materiali organici il materiale deve essere costituito per il 90% da frammenti di dimensioni inferiori a 2 mm).

Infine, è utile sapere che esiste un’altra categoria di degradabilità (messa al bando dalla Direttiva  Single-Use Plastics) definita oxo-degradabile. Si tratta di plastiche che grazie all’aggiunta di additivi sono in grado di degradarsi in breve tempo in parti di piccole dimensioni.

 

Una soluzione sostenibile?

Nonostante la produzione di bioplastiche stia aumentando e queste possano risultare utili in determinati casi, tali materiali presentano ancora delle criticità, in particolare se impiegati per imballaggi e prodotti monouso.

Innanzitutto, un problema che ancora persiste è legato allo scorretto conferimento dei prodotti in bioplastica, in particolar modo nella raccolta differenziata della plastica. Gli imballaggi e contenitori rigidi in bioplastica non sono infatti distinguibili a colpo d’occhio dagli stessi in plastica. Questo comporta che spesso i primi vengano confusi con i secondi e gettati nel bidone della plastica, causando così problemi negli impianti di trattamento, nei quali risulta difficile distinguere tra i differenti materiali con le tecnologie attuali. La buona pratica da adottare è controllare il tipo di materiale prima di buttare un rifiuto.

In una recente indagine di Greenpeace, inoltre, vengono messi in luce ulteriori criticità, nel caso di conferimento delle bioplastiche compostabili nella frazione dell’organico. Greenpeace afferma infatti che l’Italia è uno dei pochi Paesi a differenziare la plastica compostabile rigida con l’umido. Tuttavia, il 63% (fonte: dati ISPRA) di questa frazione finisce in impianti di digestione anaerobica o impianti integrati (compostaggio e digestione anaerobica), che difficilmente riescono a degradare bioplastiche rigide. Il restate 37% viene invece trattato in impianti di compostaggio, efficienti per il degrado di questi materiali; non è assicurato però che le bioplastiche rigide rimangano in questi impianti sufficientemente a lungo da assicurarne la completa degradazione. Inoltre, in alcuni impianti avviene una vagliatura per separare materiali rigidi dalla frazione organica: così facendo si separano anche le bioplastiche rigide che, assieme allo scarto, verranno inviate a recupero energetico o smaltite in discarica.

 Grafico sulle bioplastiche in base alla loro composizione  Codici di riciclaggio e marchi di certificazione compostabilità

Assobioplastiche replica che in Italia gli impianti di trattamento dei rifiuti organici si confermano qualificati ed efficienti nella gestione di imballaggi in plastica compostabile e che gli impianti che non trattano le bioplastiche compostabili rappresentano “poche eccezioni, dovute a particolari sistemi di pretrattamento”. Contesta inoltre le percentuali pubblicate da Greenpeace relative al conferimento della frazione organica negli impianti di trattamento: Assobioplastica afferma infatti che il 5,1% finisce in impianti anaerobici e il 46,8% in impianti integrati, che presentano la fase di compostaggio dopo quella anaerobica.

Greenpeace ha dato ulteriore risposta sostenendo che Utilitalia e L’European Compost Network confermano l’inadeguatezza degli impianti anaerobici nel trattare questi prodotti e che, secondo i dati ISPRA inerenti alla sola frazione organica contenente materiali bioplastici, si conferma un conferimento del 63% in impianti che trattano faticosamente i manufatti rigidi in bioplastica.

Infine, è fondamentale considerare la biodegradazione in ambiente naturale, in caso di dispersione accidentale e non. Il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), insieme all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e al Distretto ligure per le tecnologie marine, ha pubblicato in merito i primi dati di uno studio, che tutt’ora procede. Secondo questi dati preliminari, lo studio afferma che, se disperse nell’ambiente, le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto lunghi, comparabili a quelli dei materiali plastici “tradizionali”. In particolare, l’esperimento ha preso in esame due polimeri bioplastici e due tra i più utilizzati negli imballaggi di plastica i cui campioni sono stati posizionati in ambiente marino (dentro delle gabbie) e sulla spiaggia (in una vasca esposta agli agenti atmosferici).

Assobioplastiche risponde attraverso il suo comitato tecnico sottolineando una serie di criticità dell’esperimento. In primis afferma che la struttura delle gabbie creerebbe un ambiente non favorevole alla degradazione poi sottolinea la mancanza di chiarezza su quali porzioni del campione sono state analizzate, contestando anche l’osservazione al microscopio elettronico che, limitandosi alla superficie dei campioni, non sarebbe in grado di definire realmente il grado di degradazione. Infine critica le tempistiche di analisi collegandole ad un’errata comprensione delle norme internazionali (che si certificherebbero un materiale come biodegradabile e compostabile in sei mesi ma solo se in ambiente controllato).

 

Per approfondimenti:

Anche le bioplastiche si degradano lentamente nell'ambiente (CNR)

La gestione e il recupero delle bioplastiche (Utilitalia)

 

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