Da trend a rifiuto, il costo nascosto della moda veloce

Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un cambiamento radicale delle abitudini dei consumatori, indotti a sostituire un capo di abbigliamento appena non sembra più essere di tendenza o in linea con la moda del momento. Quest'approccio ha molte conseguenze, tra cui la riduzione del ciclo di vita degli abiti, che ha come effetto ulteriore quello di creare accumuli di tessuti e indumenti in aree vulnerabili e carenti dal punto di vista della gestione dei rifiuti. Nel 2020, nell’Unione Europea sono stati generati 6,95 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, con una media di 16 kg per abitante (Fonte: Il riciclo in Italia- Rapporto 2024). Molti dei capi dismessi, spesso raccolti con l'intenzione di aiutare chi è in difficoltà, finiscono invece in discariche illegali, aggravando la devastazione ambientale in numerosi Paesi in via di sviluppo. Negli ultimi due decenni, la quantità di tessili usati esportati dai Paesi dell'UE verso Africa e Asia è triplicata, alimentando ulteriormente il problema.

E’ il caso, ad esempio, dei mercati dell’usato di Kantamento, in Ghana, e di Dandora, in Kenya. Molti commercianti locali acquistano gli abiti usati che giungono principalmente dai Paesi occidentali, con l’obiettivo di rivenderli alla comunità e crearne un profitto. La realtà, però, nasconde uno scenario più complesso. Infatti, molti degli indumenti che arrivano risultano essere in cattive condizioni, motivo per cui difficilmente trovano degli acquirenti, finendo per essere accumulati in discariche illegali, bruciati a cielo aperto o dispersi nell'ambiente circostante. Questo avviene sia per una limitata conoscenza della questione ambientale ma anche per l’inadeguatezza dei sistemi di gestione e raccolta.

Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione, che concorre a peggiorare la situazione, riguarda i materiali con cui sono realizzati gli indumenti attualmente di uso comune. Sempre più spesso, infatti, gli abiti che indossiamo sono composti da materiali sintetici, il che rende ancora più complesso la loro gestione post consumo, soprattutto in luoghi dove le infrastrutture mancano o sono inadeguate. Di conseguenza, come evidenziato nel rapporto di Greenpeace, intitolato Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana”, in prossimità delle discariche sono presenti quantità preoccupanti di sostanze tossiche, tra cui benzene e altri idrocarburi cancerogeni. Inoltre, le fibre sintetiche che compongono gli indumenti, se non correttamente smaltite, si disperdono nell’ambiente, contaminando terreni, fiumi e mari con microplastiche.

In conformità con la “Direttiva Quadro Rifiuti” 2008/98/CE, entro il 1° gennaio del 2025 i Paesi membri dell’UE devono istituire sistemi di raccolta differenziata per i tessuti usati e di scarto (in Italia sono già attivi dal 1° gennaio 2022 in accordo al Decreto Legislativo 116/2020). Parallelamente, è necessario potenziare la capacità di selezione dei tessili alla fonte, al fine di poterli avviare al miglior destino ed evitare gli impatti sopra menzionati. Inoltre, il sistema di gestione dei rifiuti e la loro esportazione richiedono un rafforzamento dei controlli affinché non si creino canali attraverso cui i rifiuti possano essere inviati in Paesi con normative ambientali meno stringenti.

In questo senso si sta muovendo l’Unione Europea, che tramite finanziamenti contribuisce a progetti di ricerca e sviluppo che mirano a creare condizioni e misure di supporto per facilitare la transizione verso un sistema circolare della filiera. Un esempio è il progetto SCIRT (System Circularity & Innovative Recycling of Textiles) che ha riunito 18 partner provenienti da 5 Paesi diversi per sviluppare un sistema di riciclaggio di fibre naturali e sintetiche, nonché di miscele di fibre. (Leggi anche: Project SCIRT).A livello locale sono stati attivati invece due progetti, all’interno del programma Climaborough, RiVestiTo e Traccia-TO. Il primo, portato avanti da Atelier Riforma con Mercato Circolare e Huulke, mira a migliorare la catalogazione dei capi in maniera digitale e più precisa, attraverso le app di Mercato circolare e Re4circular (di Atelier Riforma), sviluppate appositamente per connettere le realtà di raccolta e smistamento indumenti usati con quelle che li ricercano per il riciclo e la rivendita. Traccia-TO invece, in collaborazione con Erion , E.R.I.C.A e Re-learn, si propone di definire metodologie per migliorare la raccolta dei rifiuti tessili e dei RAEE, con un focus nel quartiere di San Salvario con l’obiettivo di replicare il metodo proposto anche in altri quartieri della Città.

In conclusione, è fondamentale un’azione unita e mirata al fine di migliorare la gestione del riciclo dei capi usati e degli scarti tessili pre e post produzione. Al tempo stesso, è necessario però intervenire sulle abitudini di consumo, per incentivare all’acquisto di capi di qualità più resistenti e longevi e optare per materiali sostenibili o più facilmente riciclabili (tessuti monomateriali o con fibre naturali).

 

Per approfondimenti:

Africa, la discarica degli abiti usati

UNA MONTAGNA DI VESTITI- L‘IMPATTO NASCOSTO DEI NOSTRI RIFIUTI TESSILI

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